Giornalisti con i piedi per terra

di Francesca Di Felice

Scordatevi le pagine patinate e il mezzo busto in giacca e cravatta: qui parliamo di una trentina di fogli di carta riciclata, fitti di parole e grandi reportage fotografici.

I protagonisti sono i fatti, le vicende che giornalisti reali toccano con mano non solo per apparire su uno schermo, ma per farne conoscere veramente le dinamiche.

Peace Reporter nasce nel 2001 in Afghanistan subito dopo l’attacco dell’11 settembre. Notarianni ci racconta di essere stato uno dei pochi giornalisti occidentali presenti sul posto e come la distorsione della realtà sia una prassi delle televisioni occidentali. Per Notarianni l’Afghanistan è un presepe, simbolo di antichità e tradizione.

 Fu quindi per lui insopportabilmente palese come gli inviati dei canali occidentali si preoccupassero soltanto di mostrare scene di guerra e di violenza, simulate con monitor a raggi infrarossi, per suggestionare il pubblico. E fu così che proprio lì a Maso Notarianni venne l’idea di costruire un medium che raccontasse il mondo dalla parte di chi quel mondo lo vive. Non ne poteva più di vedere giornalisti incravattati alloggiare in hotel; ricevere lanci d’agenzia dalle proprie redazioni; pagare qualche ragazzo locale per raccogliere informazioni e per sparare colpi all’aria: una perfetta sceneggiatura da zona di guerra.

Nel 2001 inizia quindi il progetto Peace Reporter che, grazie al supporto di Emergency e della Misna, diventa nel 2003 un sito internet. Accanto al portale web nasce poi anche il supporto cartaceo mensile, il cui obiettivo è ricoprire in modo oggettivo e diversificato le notizie che provengono dagli esteri.

Peace Reporter infatti si avvale di una squadra di corrispondenti in perenne viaggio per il mondo, ma soprattutto di una rete di collegamenti sul posto in grado di fornire un punto di vista reale: persone comuni che non hanno fini giornalistici. La passione e il continuo sforzo di affrontare tematiche senza pregiudizi sta alla base della convinzione, già espressa da Egisto Corradi, che il giornalismo si faccia con le suole delle scarpe.

You Can Change Your Life

 

 

 

http://www.girodivite.it/You-Can-Change-Your-Life-Capodanno.html

You Can Change Your Life_Capodanno 2010 a Catania

Inzia il conto alla rovescia per il capodanno a base di musica elettronica in Sicilia. Per questo fine d’anno, l’appuntamento è in provincia di Catania, dove in consolle di alternerrano sonorità dubstep e drum and Bass. Ai controlli nella zona elettronica Soggiu, Substrate, Stonic e Nonzobass. Spazio anche per funky and rare grooves, nella seconda area…

info +  programma qui:

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ACQUA!!!

di Flavio William Tamburrano

Oltre un miliardo e mezzo di persone non ha accesso all’acqua potabile. Quasi 2 milioni di bambini muoiono ogni anno per malattie connesse alla mancanza di acqua potabile. Oltre 2 miliardi e mezzo di persone non hanno accesso ai servizi igienici sanitari di base. Secondo le Nazioni Unite nel 2030, metà della popolazione mondiale sarà senz’acqua!

 Sapete quante guerre vi sono oggi al mondo per l’acqua? Parlare d’acqua. Parlare di scarsità: la condizione fondamentale per la quale il mercato si appropria di un bene. Acqua significa parlare di dati, di geopolitica, di guerre; la sua presenza significa vita, l’assenza porta la morte. Parlare d’acqua significa parlare di un diritto negato, un diritto senza codice; significa multinazionali, domini, leggi, regole e principi che ne permettono il controllo; significa la privatizzazione dell’acqua.

Significa non dimenticare il 2° Forum mondiale sull’acqua tenutosi all’Aja dal 17 al 22 marzo del 2000, dopo il quale l’acqua ha perso giuridicamente lo status di diritto per essere considerata BISOGNO. In quanto tale, essa è passibile d’essere regolata dalle leggi sulla domanda e sull’offerta.

Parlare d’acqua significa non parlarne! Significa circuiti di comunicazione paralleli e all’ombra dell’INFORMAZIONE: significa reti, campagne, convegni, giornate tematiche, associazioni, ong, onlus e tutta la società civile impegnata nella lotta per la VITA. Sintesi di tutte le campagne e le lotte è: PARTECIPARE! Boicottando le acque minerali, informandoci e conoscendo da dove e come l’acqua arriva al nostro rubinetto, con la propria presenza nelle sedi istituzionali ma soprattutto decisionali del nostro territorio: paese, provincia, regione.

Acqua significa anche spreco, in Italia più del 50% dell’acqua immessa nella rete idrica sparisce nel nulla. Stringiamo rubinetti e apriamone altri. Pensiamo alla privatizzazione dell’acqua. Pagare bollette rincarate dai gestori privati fino al 300% in più: soldi “sporchi” che finiscono nelle tasche di prepotenti grazie a mezzi “puliti”. La lotta non deve essere per il costo delle bollette ma per la gestione dell’acqua, BENE PUBBLICO, collettivo, di tutti. Educhiamoci al suo consumo, anche pagandola di più, ma facciamo sì che i nostri soldi siano spesi per difenderLA.

Difendere non è un gesto astratto, ma un’azione concreta. Vuol dire migliorare condutture eliminando gli sprechi; installare apparecchiature e utilizzare piccoli accorgimenti rivolti a migliorare il nostro consumo; investire nella ricerca per il recupero e la parcellizzazione delle acque; fermare l’utilizzo di sostanze chimiche e tossiche dai fertilizzanti ai detersivi; favorire il ritorno all’uso di prodotti naturali. Sovvenzionare e favorire la diffusione e il passaggio a nuovi stili di vita fondati sul risparmio idrico è la strada da percorrere. I mezzi per farlo sono i saperi e le buone pratiche riguardanti l’utilizzo e la gestione dell’acqua.

Ci stanno svendendo il diritto alla vita, l’unico modo per ritornare a salvaguardare l’acqua è considerarlo un Diritto Umano, inserendolo nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Acqua: corollario del primo tra i diritti e suo sinonimo.

Diritto all’acqua=diritto alla vita. Diritto all’acqua = diritto alla salute.

Nuove prospettive per la musica tekno

recensione del libro di Claudia Attimonelli: «Techno: ritmi afrofuturisti»

di Simona Calabrò

Mondo variegato, ampiamente criticato e sottovalutato, quello della musica elettronica. Claudia Attimonelli affronta un tema  piuttosto inusuale ma ugualmente interessante ed originale nella trattazione.

La sua opera rappresenta il tentativo di dar forma a  una tematica piuttosto controversa realizzando, secondo un filo logico e contemporaneamente storico, una sorta di viaggio nei  meandri più nascosti di quella che molti critici hanno definito musica “disumana”. L’autrice dell’opera, edita da Meltemi, inizia l’itinerario della techno partendo dal suo nucleo originario:  il rumore. La Attimonelli sconvolge le scontate dissertazioni sull’argomento riconducendo questo controverso genere musicale,  tanto odiato quanto amato, ad una dimensione sociologica  e linguistica. In quest’ottica la techno si pone come una sorta di rappresentazione e rilettura del sociale.

L’ underground si con  come il luogo-assenza in cui si manifesta un linguaggio urlato  e muto nello stesso tempo, linguaggio che, in virtù della sua  stessa ragion d’essere, si dichiara completamente indipendente  rispetto all’esistente contesto musicale. Gli anni ’60 con Woodstock  e con la rivoluzione culturale assistono alla trasformazione  della musica “del sottosuolo”. L’underground diventa, paradossalmente un fenomeno di superficie, il dj si pone come interpretemente, delle voci che fa risuonare. Assimilando l’elettronica a un sistema linguistico, l’autrice lo analizza servendosi delle stesse categorie  della linguistica e riferendosi alla semiotica in maniera inconsueta per l’argomento.

Claudia Attimonelli si esprime con un linguaggio ugualmente ricercato e accessibile, aprendo nuove prospettive  di lettura di un genere musicale solitamente relegato a posizioni  marginali e fortemente criticate. L’autrice conferisce alla techno un nuovo statuto sottolineando la densità di significati nascosti e inimmaginabili per una tipologia di musica considerata “d’élite”, dove quest’ultimo termine definisce, criticamente e in maniera in  un gruppo marginale, un gruppo da cui stare lontani nella difesa di una cultura stabilita arbitrariamente.  Lo statuto della techno trova radici nella sua stessa storia che lo vede calato nei profondi mutamenti sociali. Sono cambiamenti che, se in alcuni casi sembrano destabilizzarla, in altri la arrichiscono di nuovi significati conferendogli, paradossalmente, una velata legittimazione culturale forte dell’assunzione di nuovi valori che, grandi eventi storici, come per esempio il Fascismo con la sua esclusione della diversità, non faranno altro che rafforzare.

Denso di significati per gli appassionati, il libro della Attimonelli risulta altrettanto interessante per chi, invece, conosce poco o nulla del genere. L’opera fornisce numerosi spunti per l’acquisizione di un’adeguata coscienza critica di quello che, nella sua essenza ed espressione, non può essere considerato altro se non manifestazione  di una delle tante sfaccettature colorate della Cultura che, in quanto tale, è universale, unica e ugualmente “policroma”.

Il formattatore

Sono stato nell’ordine: panettiere, contrabbandiere di hardware, poliziotto, giornalista, farmacista, medico. Ho 28 anni. E il mio ingresso USB retro-nuca è ancora ben funzionale. Compro giga di memoria da quando sono nato, non ho mai avuto la pazienza di imparare.

All’inizio un pen-drive da 1 giga di consentiva di apprendere un mestiere semplice, come il panettiere. Andavi al memo-service e ti compravi le competenze per fare un mestiere, costava poco. Ti infilavi il pen-drive nel retro-nuca ed era fatta. Le cose adesso sono cambiate.

Ho deciso di accumulare conoscenze mediche, il mestiere più remunerativo, da quando i virus nei pen-drive di contrabbando hanno iniziato a mandano in tilt tutte quelle persone. Nel mio cervello ci sono 80 giga di memoria di conoscenze medico-farmaceutiche, 1 da panettiere, 2 da contrabbandiere, 1 da poliziotto, 1 da giornalista, e altri 10 da chimico-elettronico. Il mio spazio disponibile è di altri 5 giga, li lascio per la pensione.

Il trucco è sapere mischiare le conoscenze. Con le mie sono divento un apprezzato formattatore. Mestiere illegale, ma molto importante. Le persone vengono da me e si fanno resettare il cervello. Costa caro, ma torni come un bambino. Memoria vuota, vita nuova, è il mio slogan. Poi installo in testa mestieri e convinzioni, con un piccolo supplemento anche dei ricordi. Creo persone nuove, è il mio mestiere. Nel mio laboratorio tengo il necessario per le mie operazioni, e qualche chicca. Mi piace sperimentare, ho comprato dei nuovi ingressi USB retro-nuca, i contrabbandieri di hardware sono amici, mi fanno buoni prezzi.

Spesso chi compra dei giga di adrenalina, o di emozioni, li rovina gli ingressi, tutta robba illegale, che schifo. Poi tutti quei pen-drive di seconda mano pieni di virus devastano i cervelli della gente. I software illegali sono delle schifezze, l’effetto dura poche ore, ma non sono di qualità. I monopoli di stato di software invece sono delle truffe, le emozioni che vendono sono deboli, e la gente si rivolge agli spacciatori di software illegali. L’hardware invece è ancora illegale, non puoi comprare un nuovo ingresso USB per il tuo cervello, allora la gente si rivolge a quelli come me, ai formattatori. Quelli come me sono gente pericolosa, possono anche formattare il cervello delle persone, rubarli i soldi, e lasciarli in giro senza una nuova memoria, vuoti, lobotomizzati. Io, invece, sono un apprezzato formattatore. Creo persone nuove, persone di qualità, come me.

Tano Rizza,  per Anonima Scrittori (progetto Modica Quantità) e Girodivite.it (settembre 2007)

Urbino è una nuvola con un cappello in testa

di Alessandro Puglia

Novembre era già inoltrato e su Urbino una neve leggera scendeva lieve, si posava sui volti affaticati della piazza, posizionandosi tra i piedi, incastonati nei sampietrini di piazza del rinascimento. Quel fermento e quel tepore degli inizi non bastavano a contenere la sua immagine: lei camminava con aria spersa nel tragitto della piazza, con passo quasi di danza andava svelta verso via Veneto. Il suo cappello bianco, di lana pallida, rapiva i miei sensi, insieme a quel suo volto bruno che evocava chissà quale terra, ai miei occhi, così familiare. Fu una pulsazione improvvisa, un innamoramento facile, e, tra me e me speravo che quella ragazza potesse essere si, una mia compagna di corso.

 Il giorno dopo si presentava a un nostro professore con la barba bianca, si scherzava con i cognomi: Parigi, Puglia, e così via, insomma c’era l’aria degli inizi, quelli che ti fanno chiedere “adesso mi darà il suo numero di telefono”, “mi avvicinerò a lei sempre di più, sempre di più”. La rincontrai un giorno dopo un incontro fatale, io avevo un libro in mano e lei mi chiedeva tutta incuriosita cosa stessi leggendo. Tanto tempo ormai è passato da quei giorni, eppure dopo una carrellata di storie, di cicchetti bevuti in un attimo e giovedì violentati dalla voglia di vivere, tornano chiare quelle prime parole scambiate, quell’immagine fulgida e annebbiata. Credevo che, in quel suo camminare spensierato come il volo di una farfalla ci fosse una breve traccia del mio destino, che nella sua sciarpetta viola ci fosse annodato una piccola parte del significato della vita da studente nella culla urbinate.

Perché in quella cerchia attorniata dal verde ci sentivamo tutti un po’ così, fuori dal mondo. E lei non credeva di poter essere una nuvola confusa in quel frammento di universo. La rividi in un’altra estate, distesa in un dondolo e questa volta era in una terra a me assai più familiare, il candore della pelle si sposava alla ribellione dei suoi sentimenti che lei sembrava una madre confusa in cerca di acchiappare questo, quello e quell’altro.

Si fece una doccia lì all’aperto tra gli ulivi e i fichi d’india e il mio pensiero si tratteneva come una voce tremante su tutto quello che un giorno avrei voluto scrivere. Chissà lei adesso come si sentirà a sapere che con quei momenti io sto inventando un regno, che è il suo profilo fugace a farmi sentire meno solo. Non mi importa, come sempre, dico che non mi importa!

Eppure lei ancora si aggira con il suo passo di danza e quel suo cappellino di lana sempre in testa, la vedo ancora andare per via Veneto, e spero che il giorno dopo, lei possa essere ancora la mia compagna di corso.

Fotoreport_”Bit Tour”_cena letteraria con l’Anonima Scrittori

 

 

online le foto della cena letteraria di presentazione dell’anotologia dell’Anonima Scrittori “Il bit dell’Avvenire”, che sii è svolta nella splendida cornice del ristorante “Nettare e Ambrosia” di Talacchio (PU).

le foto a questo link:

 http://www.flickr.com/photos/openhouse_pocket/sets/72157622884404383/

concorso letterario: Urbino, identità e contaminazioni

 

Un concorso letterario, che alimenterà e darà vita alla prima raccolta di racconti interamente scritta da studenti ed ex studenti universitari dell’Università di Urbino, dai residenti della città, e da tutti quelli che per un motivo o per un altro sono passati da Urbino, e che l’hanno tenuta nel cuore per sempre.

Obiettivo è quello di stimolare l’aggregazione degli studenti attorno ai temi delle identità, delle culture e delle differenze che arricchiscono e stimolano la vita culturale e sociale nella città di Urbino.

Identità diverse che derivano dalle varie provenienze geografiche e culturali di chi vive o ha vissuto la realtà urbinate. Ragazzi e ragazze che così si trovano, e si sono trovati, a convivere assieme, finendo così per contaminarsi, arricchirsi e confrontarsi reciprocamente, dando vita all’interno delle mura della cittadina marchigiana ad un macrocosmo identitario dalle mille sfaccettature.

L’obiettivo è quello di promuovere l’espressività, raccogliere le sensazioni e gli umori di chi ha messo piede nelle città ducale, per capire come studenti ed ex studenti, residenti, turisti, visitatori percepiscono, o hanno percepito la loro permanenza a Urbino.

Un concorso letterario, aperto a tutti, con tematica o ambientazione, che parte dalla città ducale. La tematica è libera ed ad ampio respiro. Potete raccontarci la vostra vita quotidiana, gli amori, la vita notturna, le iniziative, le idee, tutto quello che nasce e ruota attorno a Urbino. I migliori racconti daranno vita ad una raccolta di racconti e impressioni. Raccolta intitolata “Urbino, identità e contaminazioni”, stampata in 5000 copie.

Tutti i testi dovranno avere l’indicazione di una colonna sonora da accoppiare alla loro lettura, e una foto rappresentativa dei testi inviati. I testi non dovranno superare la lunghezza di 1500 battute spazi inclusi, dovranno essere inediti.

Scadenze. I testi dovranno essere inviati, assieme ad una piccola nota biografica, entro il 10 gennaio 2010 a: openhouse@live.it

Il concorso letterario, “Urbino, identità e contaminazioni” è un idea in progress. Sono ben accette collaborazioni, idee, partnerschip, e volontari di giuria.

Vuoi fare parte della giuria? Vuoi diventare partner dell’iniziativa?Hai un’idea per questa iniziativa?.

Contattaci: openhouse@live.it

buona scrittura_

Una risata ci salverà_Intervista a Michele Serra

di Giulia Zaccariello

Michele Serra racconta l’Italia. Lo fa con ironia implacabile in un libro dal titolo “Breviario Comico. A perpetua memoria”. Lancia stilettate alla politica come alla religione, alla società come al mondo dello spettacolo. E c’è (poco) da ridere. L’antologia, che raccoglie gli interventi di Satira Preventiva apparsi su L’espresso dal 2002 al 2008, dipinge pagina dopo pagina l’immagine di un Paese simile ad un palcoscenico tragicomico, dove i personaggi pubblici si muovono come protagonisti di una rappresentazione dell’assurdo.

In un Paese immobile dove i politici fanno concorrenza ai comici, in un sistema che manifesta senza pudore le proprie storture, quale ruolo assume la satira? Conserva ancora una funzione “etica”?

“La satira deve graffiare e spiazzare. Deve turbare ed infastidire. Deve riuscire a farti scoprire cose inedite. Deve divertire e insieme darti una visione non convenzionale degli eventi e delle persone. Non sempre questo avviene. Esiste infatti anche una satira banale, come le imitazioni fatte dal Bagaglino. È una satira facile che non fa male a nessuno, che non scardina nessuna certezza, e che ripete moduli vecchi e stereotipi consolidati”

Cosa spinge a fare satira?

“Io credo che la satira sia una forma di pudore ed insieme di salvaguardia. Perché da una parte ti permette di criticare evitando la retorica, e senza apparire come un «vecchio trombone». Mentre dall’altra ti consente di reagire alle angosce quotidiane rimanendo composto. Dopo molti anni ho infatti capito che le cose che fanno paura sono le stesse che fanno ridere. E il comico rappresenta una salvezza intellettuale di fronte a qualcosa che ti deraglia addosso”

Chi va a colpire la satira?

“Spesso i nostri politici sono vittime di una puerilità ignorante che li spinge a credersi perfetti o immortali. Ecco, loro sono i miei bersagli ideali. Anche se, ci tengo a precisarlo, la critica demistificatoria tocca anche la società, che quel potere l’ha eletto e di cui sovente rispecchia la pochezza”

Nel 1989 nasceva Cuore. Cosa è cambiato in Italia rispetto ad allora?

Quasi niente. Molte cose sono davvero rimaste identiche ed è per questo che buona parte di Cuore funzionerebbe ancora oggi. Quando resta immutata la situazione sociale, la satira non scade. E il nostro è un Paese fermo. Devo ammettere, però, che allora non esisteva tanto fondamentalismo religioso. La crisi della razionalità è abbastanza recente, come la smania delle identità locali e l’ossessione per le radici” Si potrebbe ripetere oggi un’esperienza come quella di Cuore? “Prima era un gioco facile. Ora le televisioni si sono mangiate gran parte delle risorse umane e monetarie che anni fa erano destinate a riviste come Cuore. Forse solo con un pensiero innovativo, eccentrico e giovane, la satira potrebbe ricomparire nelle edicole”

E il futuro? Davvero non ci resta che ridere?

“Forse no. Mi sembra che ci siano i presupposti per la nascita di un pensiero nuovo. La crisi economica ha portato a ridimensionare la tendenza edonistica e il cieco consumismo degli ultimi decenni. E poi non dimentichiamo l’ascesa di Obama. È un ventennio che finisce e sarà interessante vedere quale sarà il nuovo scenario”.

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